Sentenza BMPS e normativa 231

Quando le elucubrazioni giurisprudenziali si scontrano con la realtà

 

Sebbene la normativa c.d. 231 (dal D.Lgs. 231/2001 e sue successive modifiche) abbia già compiuto venti anni, fino a dieci anni fa era raro trovarsi di fronte ad una sentenza che la prendesse in considerazione, e che, quindi, allargasse, valutandola, la responsabilità personale a quella dell’Ente.

A partire dal 2010 invece, hanno iniziato a susseguirsi sentenze, spesso di condanna, a carico di aziende colpevoli di aver violato le norme descritte dai reati cosiddetti “presupposto”, principalmente in materia ambientale e in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ad oggi, il tema Responsabilità 231 è ormai abbastanza sdoganato in ambito aziendale, e viene analizzato da giuristi e tecnici in modo piuttosto approfondito, e a volte con un approccio più condivisibile rispetto a quanto non faccia parte della magistratura.

A sostegno di questa tesi, possiamo prendere spunto da una sentenza molto recente del Tribunale di Milano, la n. 10748, depositata in data 7 aprile 2021, con la quale la Banca Monte dei Paschi di Siena è stata condannata ad una sanzione pecuniaria di 800 mila euro per i reati di false comunicazioni sociali e manipolazione del mercato (artt. 25-ter e 25-sexies del D.lgs. 231/2001).

Nel caso di specie i giudici sono arrivati alla condanna basandosi su tre argomentazioni:

–             Il presupposto che il Modello Organizzativo non fosse idoneo prima dell’ottobre 2013;

–             L’insussistenza di una condotta fraudolenta da parte della persona fisica che aveva commesso il reato;

–             La convinzione che l’Organismo di Vigilanza avrebbe dovuto prevenire la commissione dei reati contestati e soprattutto impedirne la reiterazione;

Tali affermazioni hanno sollevato legittimi dubbi tra i protagonisti della dottrina, i quali hanno individuato un evidente scollamento tra normativa, interpretazione giurisprudenziale e realtà aziendale.

Ci si sarebbe aspettato infatti, che i Giudici milanesi avessero approfondito e chiarito meglio i seguenti punti; le criticità specifiche del Modello (i.e. l’errata mappatura delle aree a rischio, protocolli specifici inadeguati o mancata implementazione del sistema disciplinare), l’assenza di artifizi e raggiri da parte della persona fisica, e, in ultimo, le modalità con cui l’Organismo di Vigilanza avrebbe potuto prevenire la commissione dei reati e la loro reiterazione.

Benché siano di indiscusso appannaggio dell’Organismo di Vigilanza l’approfondimento delle criticità rilevate durante le attività di controllo (molto spesso svolte mediante interviste e richieste documentali ai referenti aziendali competenti per area) il follow up delle stesse, ed il monitoraggio dei contenziosi, in stretta collaborazione con gli avvocati penalisti di riferimento, è invece chiaro come l’OdV non sia organo dotato di poteri sufficienti a modificare il comportamento e le intenzioni dei soggetti apicali, e, anche se nel caso di specie  avesse potuto correggere il tiro nella gestione delle operazioni contabili oggetto di condanna, avrebbe potuto agire solo indicando al CdA le proprie perplessità e stimolarne una pronta risoluzione.

In sostanza si sarebbe dovuto considerare che l’operato dell’Organismo di Vigilanza ha dei limiti previsti dalla normativa 231, ma soprattutto non è in grado di condizionare in toto o manovrare le decisioni dell’organo dirigente delle aziende.

Fermo restando tutto quanto sopra è importante non dimenticare il ruolo centrale dell’OdV, il quale deve, perché la condizione esimente per l’Ente si realizzi, vigilare con continuità sul funzionamento e l’osservanza del Modello e sul loro aggiornamento laddove cambino le aree a rischio reato o l’organizzazione aziendale.

 

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