Il recente intervento dell’Unione Europea, con l’approvazione della Direttiva 2025/794 nell’ambito del pacchetto normativo “Omnibus I”, ha posticipato di due anni gli obblighi di rendicontazione della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e di un anno le scadenze operative della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D). Questo rinvio temporale non rappresenta un mero slittamento burocratico, ma una preziosa finestra di adeguamento: le imprese italiane possono ora riprogettare in chiave integrata i propri sistemi di governance, sfruttando i Modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001 come strumento privilegiato per la gestione dei fattori ESG.
Il Modello 231 nasce con l’obiettivo di prevenire responsabilità penali d’impresa, ma oggi si rivela uno strumento essenziale di compliance evoluta, capace di:
- integrare nella struttura organizzativa i principi ESG;
- prevenire i reati-presupposto legati a salute, sicurezza, ambiente e diritti umani;
- supportare la rendicontazione non finanziaria e la due diligence lungo la catena del valore.
In questa nuova stagione regolatoria, il Modello 231 si trasforma da obbligo legale a infrastruttura di governance sostenibile, coerente con i principi dell’Agenda 2030 e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG).
L’integrazione della sostenibilità nei Modelli 231 richiede un vero e proprio salto culturale e organizzativo. Non basta aggiornare i documenti: è necessario ridefinire i flussi decisionali e i presìdi di controllo interno per:
- mappare i rischi ESG in modo sistemico e trasversale;
- armonizzare Codice Etico, procedure operative e sistema di deleghe;
- costruire un sistema di audit integrato e tracciabile;
- documentare azioni coerenti con gli SDG in modo misurabile e verificabile.
Un Modello evoluto in questa direzione non si limita a proteggere l’impresa: diventa un asset competitivo, valorizzando trasparenza, reputazione e accountability.
Elemento imprescindibile del Modello 231, il Codice Etico assume oggi un valore strategico rafforzato. Deve rappresentare non solo l’insieme dei valori aziendali, ma una vera e propria bussola valoriale capace di orientare scelte, comportamenti e relazioni con tutti gli stakeholder.
In un contesto dove il greenwashing è sotto osservazione normativa e reputazionale, la coerenza tra ciò che si dichiara e ciò che si pratica è cruciale: le discrepanze tra valori ESG comunicati e prassi aziendali possono tradursi in responsabilità concrete e gravi danni reputazionali.
Lo “stop all’orologio” concesso dall’UE non va inteso quindi come un rinvio fine a sé stesso. Al contrario, rappresenta una chiamata alla responsabilità: il tempo supplementare va impiegato per sviluppare Modelli 231 realmente integrati con la strategia ESG dell’impresa.
Le aziende che coglieranno questa opportunità potranno affrontare le sfide della sostenibilità con strumenti di governance robusti, coerenti e conformi, trasformando l’obbligo normativo in leva di innovazione e competitività.